Il diabete mellito è un’importante patologia caratterizzata da elevati livelli di glucosio, quindi di “zuccheri nel sangue”; la diagnosi viene posta sulla semplice base dei valori di glicemia a digiuno che, in tal caso, risultano uguali o superiori a 126 mg.

Nel nostro paese circa l’8% della popolazione è affetta da diabete, ma il dato più significativo è che esiste un notevole numero di pazienti affetti da questa condizione morbosa ma non ancora diagnosticati.

In alcuni casi, il diabete può essere tenuto sotto controllo anche solo con la dieta; è quindi molto importante considerare e conoscere l’apporto di “zuccheri” dei vari alimenti.

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L’ indice glicemico (IG oppure GI Glycemic Index) di un alimento indica la velocità con la quale aumenta la glicemia (quantità di glucosio nel sangue) in seguito all’assunzione di una quantità di alimento contenente 50 grammi di carboidrati.

L’aggettivo “glicemico” deriva dalla parola “glicemia” che sta ad indicare la presenza di glucosio nel sangue.

L’indice è espresso in termini percentuali, rapportandolo alla velocità d’aumento con la stessa quantità del carboidrato di riferimento (indice pari a 100): un indice glicemico di 50 significa che l’alimento innalza la glicemia con una velocità che è la metà di quella del glucosio.

Alcuni si domandano se l’IG sia in grado di predire l’effetto di un pasto misto, ossia un pasto che è composto da cibi con IG molto differenti. Diversi studi dimostrano che l’IG è molto adatto e utile ad assolvere questo compito.

Si può prevedere piuttosto correttamente l’IG di un pasto misto, semplicemente moltiplicando la percentuale totale di carboidrati contenuti in ciascun cibo per il suo indice glicemico e addizionare i risultati ottenuti per ottenere l’IG dell’intero pasto.

E’ importante considerare però che un limite importante dell’IG è la sua variabilità elevata in base ai seguenti fattori:

– varietà (per esempio le diverse varietà di un frutto hanno indice glicemico diverso);
– tempo di raccolta (un frutto acerbo ha un indice glicemico diverso da un frutto molto maturo);
– zona geografica di produzione (per esempio una mela coltivata in Danimarca o in Italia);
– modalità di produzione (per esempio i vari prodotti “industriali”);
– il contenuto di grassi e di proteine (per esempio il gelato);
– il contenuto in fibre (per esempio i veri corn flakes, ricchi di fibre, vs. i corn flakes più calorici molto più simili ai biscotti);
– la conservazione e l’essiccazione;
– il metodo di cottura (per esempio bollire o cuocere al forno varia l’indice glicemico);
– la durata della cottura (per esempio pasta al dente o leggermente scotta);
– gli altri ingredienti della ricetta (la pasta al pesto avrà indice glicemico diverso dalla pasta al pomodoro).

I tipi di carboidrati
Esistono tre tipi di carboidrati che si differenziano dal numero di molecole che sono legate assieme:

  1. monosaccaridi, come il glucosio ed il fruttosio, contengono una sola molecola di zucchero
  2. disaccaridi (zuccheri semplici), come il saccarosio, il lattosio ed il maltosio, sono costituiti da due molecole di zucchero legate assieme
  3. polisaccaridi (carboidrati complessi), come l’ amido, il glicogeno e la cellulosa, sono formati dal legame di diversi monosaccaridi, creando lunghe molecole.

Il nostro intestino trasforma e scinde tutti i carboidrati che riceve dal cibo in monosaccaridi. In questo modo potranno passare attraverso la parete intestinale, e circolare nel flusso ematico. Quindi sono trasportati verso il fegato, che li trasforma in glucosio. Il fegato lo può far tornare nel flusso ematico a scopo energetico, ma se nell’organismo vi è una quantità di glucosio superiore a quella di cui si ha bisogno, lo può trasformare in glicogeno per essere immagazzinato. Il rimanente glucosio nel sangue è convertito in grasso.

Per mantenere il glucosio del sangue entro valori tollerabili interviene il pancreas, secernendo gli ormoni insulina e glucagone. Quindi, un’assunzione eccessiva di carboidrati produce un aumento della glicemia e innesca il rilascio dell’insulina che riequilibra la situazione.

Il picco insulinico è tanto maggiore quanto più alto è l’indice glicemico dei carboidrati assunti.

 

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Per approfondire:

Comunicazione a cura di:
Centro Ricerche Biomediche SIMOH
Scuola Italiana di Medicina Omeopatica Hahnemanniana
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