Dr Alberto Laffranchi

Alberto Laffranchi, Istituto Tumori di Milano:

“Il 50% dei pazienti vi ricorre per combattere gli effetti collaterali”.

Fonte: Quotidiano Sanità – Edoardo Stucchi – 17.11.2014

I dati sono significativi. Almeno a sentire le statistiche di MeTeCo, il comitato per le medicine complementari in oncologia nato all’interno dell’Istituto tumori di Milano.

Un paziente oncologico su due farebbe infatti ricorso alla medicina “non ufficiale” per combattere soprattutto i sintomi delle malattia.

Ma la ricerca di un medico “adiuvante” è sempre problematica e spesso capita che l’operatore non sia sufficientemente preparato a trattare malati in cura oncologica. Pochissimi ospedali o strutture sanitarie dispongono, infatti, di ambulatori per le medicine complementari.

Fanno scuola Lombardia, Toscana, Alto Adige dove a pagamento o con ticket si possono avere trattamenti di fitoterapia, agopuntura, shiatsu o applicazioni di onde elettromagnetiche.

La presenza di un ambulatorio pubblico di medicine complementari in collegamento con i grandi centri di cura potrebbe garantire una migliore attenzione ai malati, agli effetti iatrogeni e valutare meglio le risposte della medicina complementare. […]

[…] “L’utilizzo di terapie complementari da parte dei pazienti oncologici, pur con i loro limiti risulta essere molto frequente: le nostre valutazioni statistiche indicano una percentuale vicina al 50%. Questo non vuol dire che si vuole sostituire la cura con altri sistemi – ha detto Alberto Laffranchi, medico specialista in radiodiagnostica e radioterapia all’Istituto dei tumori di Milano e coordinatore di Meteco – ma offrire l’opportunità di vivere in modo migliore attraverso suggerimenti e dimostrazioni concrete su stili di vita più regolari, un’alimentazione più sana e cure ‘dolci’ che tengano conto dell’equilibrio tra corpo e mente, in particolare per i malati di cancro che sempre più avvertono la necessità di un approccio olistico, in grado di curare la persona nella sua globalità e non soltanto la malattia fisica. Un approccio, che speriamo sia accolto dalle Istituzioni sanitarie, per sostenere le cure oncologiche convenzionali (chirurgia, chemioterapia e radioterapia) e che contribuisca efficacemente al miglioramento della qualità di vita dei malati”. […]

[…] L’applicazione di campi elettromagnetici ultradeboli permette alle cellule del corpo umano di recuperare elementi fondamentali per la salvaguardia della loro funzione, poiché, come noto, il tumore e la relativa chemioterapia abbassano le difese del sistema immunitario. Il paziente, in queste condizioni ambientali, viene esposto ulteriormente ad attacchi batterici e virali, spesso fatali.

Ma in cosa consiste questa terapia?

Ne abbiamo parlato con Piergiorgio Spaggiari, fisico e medico che ha conseguito laurea honoris causa al Medical State University di Odessa in medicina quantistica e che ha presieduto e moderato la prima giornata del convegno di Erba. “E’ ormai dimostrato che le cellule ubbidiscono a variazioni di campo elettromagnetico (l’esempio più eclatante è l’impiego della risonanza magnetica nucleare in ambito diagnostico) – spiega l’esperto -. Se noi infatti immergiamo il paziente e quindi le sue cellule in un campo magnetico permanente di bassa intensità, pari al campo magnetico terrestre, e aggiungiamo un campo magnetico variabile le cui frequenze sono pari alle frequenze degli ioni che le cellule perdono, le cellule riescono a recuperare questi ioni in quanto soggette ad una forza generata dalla somma dei due campi. Purtroppo queste terapie non sono ancora sufficientemente conosciute ed applicate all’interno di strutture pubbliche ad eccezione di alcune.

Nel nostro Paese sono comunque usufruibili in molti centri privati, in tutto il territorio nazionale, come del resto molte delle terapie complementari descritte”.

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