Prof. Ivan Cavicchi

Prof. Ivan Cavicchi

Oggi la medicina è a un punto di non ritorno rispetto al quale o si fa il salto nel neo-ippocratismo quindi si evolve o si sprofonda sempre più nella medicina amministrata quindi si degenera.

Buttare 2.400 anni di storia della medicina alle ortiche più che un bio-sfondone mi sembra, è il caso di dirlo, una intollerabile quanto immorale dimostrazione di in –coscienza. L’in-coscienza da sola può cancellare addirittura una civiltà.

 

Fonte: Quotidiano Sanità

20 Novembre – “È raro leggere un articolo così pieno di “bio-sfondoni” come quello di Luca Benci sull’ippocratismo (QS 13 novembre 2017) e trovarsi inaspettatamente di fronte a tanta grossolana e talvolta comica inconsapevolezza.

In più circostanze, all’autore, ho suggerito, amichevolmente, di riflettere meglio sulla questione e di aggiustare le sue tesi, ma evidentemente le sue certezze sono tali da permettersi spavaldamente di sfidare, a parte chi professionalmente ne sa più di lui, financo le più elementari regole del confronto.

Nonostante sia insensato rispondere all’insensato, nel caso di Benci, e per di più su sua sollecitazione, farò una eccezione e come quel macellaio alle prese con la signora che insiste nel chiedere un certo taglio di carne rispondiamo: “Da questa parte lo volete? E da questa parte ve lo do”

I giudizi di valore
L’articolo, a ben guardare, è pieno di “giudizi di valore”, come li avrebbe chiamati Weber, cioè di affermazioni che valutano la liceità dell’ippocratismo basandosi su valori tanto presunti quanto preconcetti.

Tuttavia l’articolo si presta, suo malgrado, ad essere una occasione di chiarimento su una questione poco dibattuta nonostante oggi la medicina e i medici abbiano indubbiamente forti problemi di identità.

Che razza di medicina abbiamo? A quale paradigma essa si riferisce? Siamo di fronte ad una mutazione della sua natura storica? Stiamo assistendo a un cambio di paradigma?

Le tesi espresse da Benci, a me pare, non derivano da una conoscenza storica filosofica e epistemologica, dell’ippocratismo ma da un discutibile punto di vista che è quello della bioetica incurante, in questo caso, di rasentare con la sua supponenza, l’amenità.
Non so se la bioetica si riconosca nelle tesi di Benci, che di mestiere fa il giurista, so però che l’articolo poggia interamente su citazioni bioetiche e su tesi che dire bislacche è dire poco.

Ma la bioetica che avventatamente liquida l’ippocratismo conosce l’ippocratismo? Cioè sa di cosa si sta parlando? E’ davvero convinta che qualche aporia basti per liquidarlo come paradigma? Ma soprattutto sa cosa è un paradigma? Io temo di no,

Quali bio-sfondoni?
Il primo è, un arbitrio:

  • ci vengono proposte delle affermazioni ma senza chiarire le loro premesse a partire dalla quali esse sono affermate,
  • non ci viene spiegato cosa sia l’ippocratismo ma ci viene detto che esso deve comunque essere superato.

Dire che qualcosa non vale più senza definire prima i valori in gioco in qualsiasi discussione non funziona.

Il secondo è l’uso scriteriato dell’accetta cioè il ricorso a un riduzionismo spregiudicato: l’ippocratismo viene banalizzato, in modo arbitrario a “paternalismo medico” come se un paradigma possa essere ridotto ad un suo elemento più o meno accessorio. La forma del rapporto medico malato è solo un suo aspetto le cui aporie, da sole, non bastano ad inficiarlo come paradigma.

Il terzo riguarda il consenso informato usato come argomento di rottura contro l’ippocratismo (“L’affermarsi del principio del consenso informato ha dato il colpo di grazia all’ippocratismo”)…Il ragionamento è logicamente inconsistente: siccome il consenso informato implicherebbe ma solo in teoria un cambiamento del rapporto medico malato allora l’ippocratismo quale paradigma è invalidato a causa del suo particolare rapporto medico malato supponendo che questo rapporto e il paradigma siano la stessa cosa. Ma quando mai!
Il quarto, il più bio-sfondone di tutti, grazie al consenso informato il “paradigma bioetico ha sostituito da tempo il paradigma della medicina ippocratica”. Aiuto! Ma di quale paradigma bioetico si parla? Non esiste nessun paradigma bioetico e ancora oggi, a guidare la medicina, c’è ancora e nonostante tutto un paradigma ippocratico.

Il quinto è addirittura spassoso: l’ippocratismo in ragione del suo paternalismo è “anticostituzionale”. No comment.

Il paradigma ippocratico
I paradigmi come quello ippocratico non si trovano nei campi come le cicorie e meno che mai si trovano belli e fatti come le mele sull’albero. Essi si ricostruiscono con pazienza mettendo insieme un mucchio di cose: principi, regole, concetti, metodi, prassi, divieti, prescrizioni, conoscenze. Nel caso dell’ippocratismo tutte queste cose sono contenute in quello che si usa indicare come il corpus hippocraticum costituito da almeno 70 scritti di medicina.

Si rammenti che siamo nel, quarto secolo A.C in un tempo cioè dove non esistevano farmaci, si era senza conoscenze anatomo-fisiologiche (la biologica aristotelica verrà un secolo più tardi) in aperto conflitto con le superstizioni e le ciarlatanerie.

In base al corpus la medicina ippocratica:

  • è una technai cioè un’arte e una tecnica riproducibile attraverso la scrittura e che per la prima volta nella storia, va oltre il repertorio di conoscenze trasmesse solo oralmente,
  • è un modello epistemico e metodico organizzato in un procedimento: diagnosi, prognosi, terapia,
  • è fondata (prima volta nella storia) su un principio di demarcazione tra razionale e irrazionale (“male sacro” e “antica medicina”),
  • è un modello etico riconducibile all’idea del “governo giusto”.

In base al giuramento di Ippocrate nella sua doppia versione antica e moderna sempre da un puntovista epistemologico si hanno altri elementi:

  • il medico esercita la medicina secondo le proprie forze e il proprio giudizio,
  • la medicina si esercita in libertà e indipendenza di giudizio e di comportamento,
  • ogni atto professionale deve comportare responsabilità e costante impegno scientifico, culturale e sociale,
  • l’opera medicava prestata con diligenza, perizia e prudenza secondo scienza e coscienza,
  • il malato va curato con scrupolo e impegno secondo le sue necessità,
  • il rapporto tra medico e paziente è fondato sulla fiducia e in ogni caso sul reciproco rispetto.

Il bio-sfondone dell’anticostituzionalità
Secondo Benci questo paradigma è anticostituzionale. Un bio-sfondone che ignora del tutto come stanno realmente le cose, vale a dire:

  • i principali postulati del paradigma ippocratico ancora oggi sono alla base della nostra medicina,
  • questi postulati oggi sono in pericolo (in particolare l’autonomia del giudizio, la cura secondo necessità, la relazione di fiducia) ma non a causa del consenso informato ma a causa di ben altro che in questi anni ho denunciato a più riprese e che ho definito sinteticamente “questione medica”,
  • il consenso informato nella pratica non ha cambiato molto del rapporto medico malato, è stato burocratizzato, banalizzato, usato contro il contenzioso legale come un principio precauzionale …e …comunque non è incompatibile con il paradigma ippocratico in nessun modo,
  • l’illusione è quella di poter cambiare le forme della relazione medico malato con semplici norme giuridiche. Il consenso informato, a forma di relazione invariante, non funziona perché esso per funzionare ha bisogno di un’altra forma di relazione che ancora oggi non è stata definita,
  • il rapporto medico malato è una relazione che dipende dal modo di conoscere la malattia e/o il malato. Non si cambia relazione se non si cambia il modo di conoscere la malattia e/o il malato. E il consenso informato non ha minimamente cambiato il modo di conoscere della malattia.

La questione del paternalismo
Considerando l’aria che tira oggi in sanità sarei molto cauto a liquidare in modo dispregiativo il paternalismo ippocratico.

Se per paternalismo intendiamo non la benevola concessione da parte di una autorità generalmente altera, ma la “presa in carico” del malato in questo caso, io che sono l’inventore dell’esigente e che teorizzo da anni le relazioni di cura come conoscenza e il consenso informato oltre il modulo (“con-senso” quale ricostruzione del senso attraverso le relazioni), vorrei che la medicina fosse “paternalista” proprio per “prendersi cura” dei propri malati.

Il guaio vero è che questo è sempre più difficile a causa di quella brutta bestia che si chiama “medicina amministrata” quindi “tempari”, linee guida, costi standard, appropriatezza, e tanta ma tanta burocratizzazione ecc.

Personalmente non so se i malati, passando dal paternalismo ippocratico alla medicina amministrata ci guadagnano, so però che molti di coloro che criticano il paternalismo ippocratico (Fnomceo in testa) ci propongono addirittura l’empatia in ragione della quale il medico dovrebbe, pensate un po’, oltre che farsi amministrare, coinvolgersi emotivamente con il malato.

Quello che ci serve oggi è recuperare la fiducia perduta e poi si sappia che secondo i canoni scientifici dell’obiettività, l’empatia, potrebbe esser addirittura pericolosa. In genere i medici troppo coinvolti specialmente nei confronti dei loro familiari sono molto poco obiettivi. Oggi la nuova problematica non è l’empatia ma è una obiettività conscia di essere implicata in ciò che osserva. Cioè conscia di avere a che fare con una oggettività relativa.

Il principio della meaning variance
C’è da chiedersi perché il paradigma ippocratico dopo 2.400 anni circa è ancora evergreen.

Per me le ragioni sono fondamentalmente due:

  • a partire dalla sua origine esso esprime il senso profondo della medicina vale a dire la sua intima essenza e che nonostante le tante scoperte scientifiche i tanti cambiamenti del mondo non è fondamentalmente cambiata anche se oggi è a rischio di snaturarsi,
  • per merito del principio della meaning variance secondo il quale il significato dei termini che costituiscono un paradigma dipendono anche dal contesto teorico in cui vengono adoperati.

Nessun termine del paradigma ippocratico oggi può essere considerato come avente lo stesso significato rispetto ai termini usati 2.400 anni fa. Cioè cambiando i contesti cambiano i significati dei termini impiegati.

La variazione del significato dei termini che compongono il paradigma ippocratico non implica automaticamente un mutamento paradigmatico ma un suo continuo aggiornamento e quindi una sua ri-attualizzazione.

Contraddizioni
Oggi i problemi veri sono due:

  • le rappresentanze soprattutto ordinistiche e scientifiche dei medici hanno forti difficoltà ad aggiornare le loro categorie di pensiero rispetto ai contesti che cambiano,
  • la medicina rischia di compromettere il proprio paradigma a causa soprattutto di fenomeni esterni ad essa come il contenzioso legale, le restrizioni imposte all’autonomia dei professionisti, i forti condizionamenti economici, il grado crescente di sfiducia sociale, una formazione inadeguata, ecc.

Oggi la grande contraddizione sulla quale la Fnomceo, le società scientifiche, l’Università, i sindacati, sono spaventosamente in ritardo è la seguente:

  • da una parte i principi cardini dell’ippocratismo restano più che mai validi soprattutto quelli della “cura secondo necessità” e “dell’autonomia di giudizio clinico”,
  • dall’altra i malati di fatto sono sempre meno curati secondo necessità e sempre più curati secondo i mezzi disponibili e i medici hanno sempre meno autonomia di giudizio.

Ma tutto questo non è colpa del paradigma ippocratico ma:

  • delle politiche pubbliche che lo stanno compromettendo,
  • delle incapacità pubbliche che non lo fanno evolvere,
  • delle rappresentanze professionali ampiamente inadeguate a governare le sfide del proprio tempo.

Scienza e coscienza
Un altro bio-sfondone di Benci riguarda “scienza e coscienza” e che lui considera null’altro come l’espressione dell’autoreferenzialità del medico, nel “tentativo di mantenere un potere decisionale sulle cure”.

Fermo restando che, per me, nell’interesse primario del malato, il potere decisionale sulle cure deve essere del medico e non di altri, anche se esercitato con sagacia e condiviso attraverso una adeguata relazione con il malato.

Ma a parte ciò mi sorprende non solo la grossolanità del pregiudizio ma la sua plateale contraddittorietà.

Siccome la coscienza, almeno per molti filosofi, è la base di ogni moralità leggere da uno che si definisce un bio-eticista quindi un bio-moralista che la coscienza è un problema perché fonte di arbitrio (il riferimento immagino sia all’obiezione di coscienza) quindi per estensione logica, paradossalmente immorale, questa volta non mi fa ridere ma mi fa orrore.

Parliamo di coscienza nella cura del malato quale caposaldo di un paradigma non di altro nel quale autonomia e arbitrio non vanno confusi.

Certamente l’arbitrio va condannato per tante ragioni morali e economiche, ma condannarlo non può significare la cancellazione dell’autonomia e quindi del valore morale della coscienza.

Quindi al contrario di Benci, nella cura del malato, rivendico, scienza a parte, l’autonomia morale della coscienza ed ora vi spiego perché.

La complessità della medicina
Con l’espressione “scienza e coscienza” l’ippocratismo vuole semplicemente dire che:

  • la medicina non è solo scienza ma anche altro e che questo “altro” non è riducibile alla scienza,
  • la dimensione morale filosofica relazionale, linguistica, contestuale, logica, ragionevole, personale, singolare, fallibilista della medicina non è riducibile alla scienza,
  • la scienza per funzionare ha bisogno di altri generi di conoscenze altrimenti la sua fallibilità rischia di essere devastante.

Quindi “scienza e coscienza” è una misura di complessità. Ma tutto il pensiero ippocratico è interpretabile in chiave di complessità. Quando si dice che la medicina è arte e tecnica e si distingue la forza dal giudizio intendendo, la prima, come espressione dell’intenzionalità e della volontà, e la seconda come espressione della conoscenza, della ragione e della saggezza, si ha una riaffermazione di complessità.

Togliere di mezzo la coscienza significa ridurre la medicina a solo scienza ed è ciò che paradossalmente teorizzano i bio-sfondoni di Benci che, altrove, arrivano a sostenere, contro l’ippocratismo, le ragioni di una medicina basata solo sulle evidenze scientifiche.

Cambiare la definizione
Questo è un altro bio sfondone perché se avessimo una medicina tutta evidenze, basterebbe delegarla al computer nel senso che essa essendo tutta astrazioni statistiche e algoritmi matematici renderebbe inutile l’impiego della coscienza del medico quindi la sua autonomia di giudizio e… quindi… il medico tout court.
Ma sulla definizione della medicina vi è un equivoco culturale che nessuno mai ha pensato di chiarire (scienza che studia la persona umana nella normalità e nelle malattie. Treccani).

Questa definizione è, rispetto al paradigma ippocratico, sbagliata e contraddittoria: la medicina non è solo scienza e per giunta se il suo oggetto di studio è la persona e non solo l’organismo biologico, non può esserlo in nessun modo.

Essa è scienza e altro non riducibile a scienza. Questoaltro andrebbe riassunto nel concetto esteso difilosofia. Per cui la medicina dovrebbe essere definita essenzialmente come un sistema di conoscenze di natura scientifica e di natura filosofica.

Consiglio vivamente di consultare la voce “medicina” da me curata nella riedizione della più importante enciclopedia filosofica (Bompiani XII volumi 2006) a cura della fondazione centro studi filosofici di Gallarate (vol. 7 pag 7195-7197)

Neo-ippocratismo
Ho cominciato a studiare il paradigma ippocratico con un libretto nel 1986 (salute nova: per una nuova teoria della salute oltre il paradigma della tutela). Alle prese con i grossi problemi di attuazione della riforma del ‘78 avevo semplicemente capito che nessuna sanità sarebbe stata riformata realmente fino a quando non si fosse ripensata evolutivamente la medicina. A seguire un lungo e difficile percorso di studi testimoniato da una nutrita serie di volumi che Benci, prima di parlare di ippocratismo, farebbe bene a consultare.

Giusto per non apparire uno sciocco apologeta dell’ippocratismo che, per partigianeria non ne vede i difetti, vorrei ricordare che in più occasioni ho proposto un lavoro di ripensamento della medicina che ho definito “neo ippocratismo” cioè un paradigma ippocratico che resta confermato nei suoi postulati fondamentali ma che accetta:

  • la sfida della ri-contestualizzazione, della meaning variance, della ri-complessificazione dottrinale,
  • le nuove sfide che ci pone una nuova idea di scienza in una società radicalmente mutata rispetto a quella ippocratica,
  • di cimentarsi con i problemi della sostenibilità finanziaria.

La medicina neo-ippocratica resta fondata:

  • sulla conoscenza scientifica che tuttavia va ripensata oltre i limiti epistemici del positivismo quindi in senso ancor più realista di quello che è, allargando la propria epistemologia soprattutto alle filosofie pragmatiste, a nuove logiche, a metodologie flessibili, alla complessità e varie ontologie della persona, ecc.
  • sulla conoscenza filosofica intendendo né l’aria fritta né una banale conoscenza umanistica, ma cose molto concrete pratiche e utili: come ragionare, come pensare il problema, come giudicare, come usare le relazioni, come parlare ad un malato, come conoscere il linguaggio per conoscere la persona che si serve di quel linguaggio, come gestire la fallibilità dell’impresa medica, come affrontare l’incertezza, l’ambiguità come fare compossibilità tra necessità di cura e risorse disponibili, ecc.
  • sulla coscienza intesa almeno in tre modi:

– la facoltà di valutare i fatti in rapporto alla propria esperienza individuale,
– come criterio di moralità soprattutto in senso deontologico per guidare le prassi professionale,
– quale intenzionalità cioè la partecipazione attiva e consapevole della volontà del medico relativo a un dato oggettivo (malattia) e a una persona soggettiva (malato),
– quali atti cognitivi del medico relativi a un correlato tanto soggettivo (malato) che oggettivo (malattia).

Conclusioni
Oggi la medicina è a un punto di non ritorno rispetto al quale o si fa il salto nel neo-ippocratismo quindi si evolve o si sprofonda sempre più nella medicina amministrata quindi si degenera.

Buttare 2.400 anni di storia della medicina alle ortiche più che un bio-sfondone mi sembra, è il caso di dirlo, una intollerabile quanto immorale dimostrazione di in –coscienza. L’in-coscienza da sola può cancellare addirittura una civiltà”.

di Ivan Cavicchi

Il Prof. Ivan Cavicchi insegna Sociologia delle Organizzazioni sanitarie e Filosofia della medicina alla Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Tor Vergata di Roma.