Un papà alcolizzato influenza lo sviluppo del feto.
Secondo una ricerca del CNR il “vizio del bicchiere” agisce sul Dna paterno e potrebbe incidere negativamente sullo sviluppo del bebè prima del concepimento.

La clinica – diceva il Prof. Antonio Negro – è il momento più alto dell’atto medico.8D09D580-98E8-407A-B877-3708ECBFA1E0

Essa costituisce il frutto della conoscenza, dell’esperienza e della capacità di sintesi che il medico deve avere e sapere esercitare nello studio correlazionistico e individualizzato del singolo malato.

In tal senso i risultati della ricerca scientifica qui riportata, corrispondono pienamente alle conoscenze ed all’esperienza che una clinica medica individualizzata e attenta ha fatto propri da tempo, anche ai fini terapeutici, in particolare nel campo della medicina omeopatica hahnemanniana.

Niente alcool se vuoi diventare papà: questo il messaggio importante al quale giungono oggi i ricercatori.

E questo è anche l’insegnamento che la Scuola Omeopatica italiana del Prof. Negro ha promosso e promuove da oltre 70 anni nella pratica medica.

Oggi questa importante indicazione sanitaria viene confermata anche da un esperimento condotto dall‘Ibcn-Cnr in collaborazione con il Centro di Riferimento Alcologico della Regione Lazio, che rivela per la prima volta che l’alcool influenza il Dna paterno incidendo negativamente sullo sviluppo del sistema nervoso centrale del bambino.

Inoltre, gli abusi paterni indurrebbero nel figlio adulto il rischio di assumere comportamenti analoghi.

I risultati sono stati pubblicati sulla Rivista scientifica Addiction Biology.

“Secondo i dati del nostro esperimento l’esposizione paterna prenatale ad alcool è in grado di influenzare lo sviluppo dei piccoli e in particolare il corretto funzionamento delle cellule del sistema nervoso centrale”, spiega Marco Fiore, ricercatore dell’Ibcn-Cnr e coordinatore dello studio insieme al collega d’Istituto Roberto Coccurello.

“In particolare, l’alcool inciderebbe sul fattore Ngf, scoperto da Rita Levi Montalcini più di cinquant’anni anni fa e che le è valso il premio Nobel per la medicina nel 1986, elemento chiave per la sopravvivenza e la funzionalità di diverse popolazioni cellulari neuronali e non neuronali, e sul Bdnf, coinvolto prevalentemente nella fisiopatologia cerebrale.

Questi due fattori assieme costituiscono degli indicatori chiave del danno indotto dall’intossicazione da alcool”.

Ma come avviene questo passaggio dal padre alcolista al figlio?

“Sicuramente l’alcool influenza il DNA paterno: direttamente tramite mutazioni – precisa Fiore – oppure indirettamente tramite meccanismi epigenetici. Sono aspetti ancora in fase di studio”.

La ricerca scientifica giunge, quindi, a confermare quanto una clinica accurata e personalizzata, unita all’esperienza e alla lunga osservazione del medico, conoscevano e affermavano già da diverso tempo, promuovendo sia uno studio biopatografico personale e familiare del paziente, sia una terapia prettamente di regolazione epigenetica, quale è appunto l’omeopatia hahnemanniana.